Neanderthal: ritratto di un sofisticato "uomo delle caverne"

Prendete delle pelli di animali, alcuni strumenti grossolani, ossa spesse e robuste ed evidenze di vita in ripari rocciosi o anfratti ed ecco qua: avete ottenuto il perfetto ritratto dell'Uomo di Neanderthal, l'"uomo delle caverne"! Una creatura bruta, selvaggia, non intelligente, spazzata via dalla nostra specie (più intelligente) e la cui unica arma vincente era la forza fisica [1]. Se potesse parlare, sicuramente l'Uomo di Neanderthal oggi si ribellerebbe ad una descrizione tanto approssimativa e decisamente non realistica dei suoi simili, il cui nome, a inizio '900, fu relegato nei bassifondi dell'antropologia, ai confini con le Scimmie (che poi, siamo scimmie anche noi, ma questa è un'altra storia..). Per sua fortuna, negli ultimi decenni numerosi ricercatori hanno provveduto a riabilitare il suo nome e a riconsiderare la sua importanza nell'evoluzione umana, fornendoci un ritratto più realistico dei nostri cugini più prossimi. Vediamo quindi chi era realmente l'Uomo di Neanderthal e quale eredità ci ha lasciato.

[1] Diorama di neandertaliano in un museo americano degli anni '30, che riflette l'errata concezione dei Neanderthal (rinforzata dai disegni di Marcellin Boule) quali creature brute, selvagge e scimmiesche.


Fossili e caratteristiche fisiche
Partiamo con un po' di storia. La scoperta della specie risale al 1856, quando, in una caverna della Valle di Neander (in Germania), venne ritrovato un cranio denominato poi Neanderthal 1: otto anni più tardi, i resti vennero attribuiti a Homo neanderthalensis. Fu il primo ominide ad essere 'nominato' (ovvero, scientificamente descritto e classificato). Si scoprì inoltre che alcuni fossili, venuti alla luce nel 1829 in Belgio e nel 1848 a Gibilterra (ma che all'epoca non erano stati correttamente riconosciuti), avevano le stesse caratteristiche di Neanderthal 1. Furono così attribuiti alla stessa specie.

[2] La rappresentazione del cranio Neanderthal 1 rinvenuto nel 1856.

Nei 150 anni successivi alla scoperta di Neanderthal 1, numerosi altri reperti venuti alla luce permisero di ricostruire con buona precisione le caratteristiche fisiche dell'Uomo di Neanderthal: lo scheletro era in generale molto robusto, così come il cranio, dove le ossa di sopracciglia e zigomi sono molto sporgenti. Anche il cervello non era da meno: Neanderthal aveva un volume cranico che spesso toccava i 2000cc (centimetri cubi), maggiore rispetto alla media della nostra specie (intorno ai 1500cc). La statura era invece relativamente bassa: 155cm per le donne, 164cm per gli uomini, con un peso medio rispettivamente di 54 e 65kg.

[3] Scheletro composto di Neanderthal proveniente dall'Israele; 60-70.000 anni

Il mondo dell'Uomo di Neanderthal
E dopo la storia, un po' di geografia. I nostri cugini vissero all'incirca fra 400 e 30 mila anni fa in un'area che comprende l'Europa, il Vicino Oriente e l'Asia continentale fino alla Siberia. A differenza di Homo sapiens, Neanderthal era una specie non africana: probabilmente derivò da una specie africana (Homo heidelbergensis) migrata nel continente europeo circa 1 milione di anni fa, ma la sua storia evolutiva è tutta euroasiatica.
Inoltre, a differenza dell'uomo, che comparve in Africa dove il clima era caldo-temperato, i Neanderthal si diffusero in un periodo di grandi glaciazioni [4], in cui i ghiacci ricoprivano tutta l'Europa settentrionale. Ciò rese complicata la sopravvivenza in un ambiente dal clima rigido e con limitate risorse alimentari. Sembra, però, che Homo neanderthalensis fosse perfettamente adattato a tali condizioni, e vari elementi lo testimoniano.

Uno di questi era la caccia. Diverse evidenze (strumenti, raffigurazioni, segni sulle ossa degli animali) dimostrano che erano abili cacciatori stagionali: le loro prede potevano essere, ad esempio, renne in inverno e cervo rosso in estate. In effetti, analisi di ossa e denti provano che i Neanderthal mediamente si nutrivano di una gran quantità di carne, che, essendo grassa e calorica, li aiutava a superare i rigidi inverni glaciali. Nei periodi più miti integravano la dieta anche con i vegetali che crescevano spontaneamente e quando si insediavano in aree costiere sfruttavano i prodotti ittici della zona, come molluschi, pesci e persino delfini.
La tecnica di caccia utilizzata prevedeva il lancio di oggetti simili ad arpioni e fiocine, che permettevano di cacciare animali di grossa taglia a distanza di sicurezza. Le fratture alle ossa, simili a quelle degli odierni Toreros, indicano però che era frequente l'interazione diretta con le prede.
Interessante notare infine che l'uso di pelli animali quali indumenti comparve proprio con i Neanderthal (anche se vestiti propriamente detti si hanno solo con Homo sapiens): certamente un valido aiuto per ripararsi dal freddo!

La fabbricazione di oggetti per la caccia si accompagna in H. neanderthalensis alla produzione di strumenti litici, comune in realtà a tutti i rappresentanti del genere Homo a partire da 3 milioni di anni fa. La tecnica dei Neanderthal viene detta Musteriana (dal sito di Moustier, in Francia) e permetteva di ricavare piccoli frammenti da materiali anche più raffinati come selce, osso e corno, nonché piccoli recipienti da conchiglie e gusci di molluschi.

E non è tutto: per riparasi dal freddo, illuminare le lunghe nottate invernali e cuocere la grande quantità di carne di cui si cibava, Neanderthal sfruttava i ripari rocciosi e sapeva abilmente utilizzare e controllare il fuoco. Due ulteriori mezzi di sopravvivenza (nonché di coesione sociale) nella fredda Eurasia del Pleistocene.

Secondo numerosi esperti, infine, alcune caratteristiche fisiche avrebbero aiutato i nostri cugini a sopportare meglio le condizioni climatiche del periodo: tra queste, la robustezza del fisico e il naso largo, che permette di riscaldare maggiormente l'aria inspirata, riducendo lo stress nelle vie aeree.

[4] Siti con reperti neandertaliani in Europa e Medio Oriente nel Pleistocene superiore, in relazione all'estensione delle calotte glaciali.

Simbolismo, pratiche funerarie e medicina
Nonostante i numerosi adattamenti fisici e culturali, nel Pleistocene la morte era all'ordine del giorno: malattie, traumi, freddo, scarsità di cibo, tutto contribuiva a mantenere l'età massima intorno ai 30-40 anni. E i Neanderthal a tal proposito introdussero una novità: sono loro, infatti, le più antiche sepolture: le più famose si trovano a Shanidar (nell'attuale Turchia), Fumane (nella provincia di Verona, in Italia) e La Chapelle-aux-Saints, in Francia [5].
Molte di queste sepolture sono caratterizzate anche da comportamenti rituali, come il posizionamento del cadavere e la colorazione con ocra rossa, e (forse) oggetti ornamentali.

[5] Sepoltura di La Chapelle-aux-Saints, sito scoperto nel 1908 nel sud-ovest della Francia.

Ritualità e simbolismo, nonché (forse) un qualche senso dell'estetica, accompagnavano i Neanderthal anche nella vita di tutti i giorni: numerosi siti archeologici hanno infatti dato alla luce resti di ossa, artigli e conchiglie utilizzati a scopo ornamentale. Emerge così che in Europa i Neanderthal erano soliti utilizzare artigli e penne dei rapaci diurni come gioielli e che, nelle zone costiere, i nostri cugini si servivano anche di conchiglie di molluschi opportunamente forate, forse a formare delle collane.

[6] Illustrazione di Mauro Cotrona sul possibile utilizzo ornamentale delle penne nei Neanderthal del sito di Fumane, abitato ininterrottamente da circa 60 mila anni fa da H. neanderthalensis prima e H. sapiens poi.

Il fatto che la cultura dei Neanderthal fosse sofisticata è evidenziato anche dall'uso intenzionale e ripetuto di erbe e vegetali come medicamenti. Ad esempio, nel sito di El Sidròn, in Spagna, sono venuti alla luce i resti di un individuo che soffriva di ascesso dentale e disturbi gastrici. Dalle analisi del tartaro dentale sono emerse tracce consistenti di corteccia e muffa, che l'uomo masticava: la prima contiene acido acetilsalicilico (il principio attivo dell'aspirina, un antidolorifico), mentre nella seconda si trovano diversi antibiotici naturali, come il Penicillium Rubens (ovvero, la penicillina).

Antiche ibridazioni e moderne eredità
Come abbiamo anticipato, quella dei Neanderthal è una storia tutta europea: sono comparsi in Europa circa 400 mila anni fa, e da lì si sono diffusi nel Vicino Oriente e in Asia occidentale. Al contrario, quella di Homo sapiens è una storia che inizia in Africa poco più di 300 mila anni fa; dal continente nero, l'uomo colonizzerà dapprima il Vicino Oriente 200 mila anni fa e poi il continente asiatico, giungendo in Europa (per quanto ne sappiamo) non più di 40-50 mila anni fa (ne ho parlato qui). Per moltissimo tempo, quindi, Neanderthal e sapiens hanno condiviso gli stessi territori e le stesse risorse, finendo col condividere anche gli stessi giacigli.

Da numerose analisi di genomi umani attuali (della nostra specie) e antichi (provenienti da Neanderthal e Denisova), i ricercatori hanno scoperto infatti numerosi eventi di ibridazione (ovvero, di accoppiamento) tra questi gruppi [7]. A partire dai figli, e per tutte le generazioni successive, le tracce di tali incontri si sono tramandate, fino a giungere ai giorni nostri: e così, andando a ritroso, gli studiosi sono in grado di ricostruire quando e dove queste ibridazioni sono avvenute.
Si scopre così che 50-60 mila anni fa, in Medio Oriente, Neanderthal e H. sapiens erano soliti avere figli insieme, e lo stesso avvenne probabilmente anche in Europa orientale intorno a 40 mila anni fa [altre ibridazioni hanno coinvolto gruppi diversi come i Denisova, ma è inutile qui dilungarsi su tale argomento].

[7] I diversi eventi di ibridazione tra Homo sapiens, Neanderthal e Denisova, avvenuti in più occasioni negli ultimi 100 mila anni.

Il lascito di questi eventi è notevole: non solo in tutte le popolazioni non africane il 1-2% del DNA è di matrice neandertaliana, ma alcuni dei geni che i Neanderthal ci hanno trasmesso hanno avuto conseguenze significative sull'uomo (si escludono le popolazioni africane in quanto H. neanderthalensis era una specie europea, mai migrata in Africa, come accennato prima).
Sappiamo per esempio che alcuni di questi geni sono coinvolti in funzioni del sistema immunitario e nella protezione dalle radiazioni ultraviolette. Altri sembrano invece implicati in funzioni neurologiche e dermatologiche, nonché in patologie psichiatriche: futuri studi chiariranno ulteriormente questi aspetti.

Conclusioni
Nel creare il ritratto dei nostri "cugini" Neanderthal siamo partiti dal bozzetto di un uomo rozzo, selvaggio, non intelligente e chiuso nelle sue caverne buie e fredde, per giungere ad un dettagliato dipinto di un Uomo fisicamente ben strutturato, intelligente, dalla cultura raffinata, e che sapeva utilizzare le risorse del territorio e aver cura dei propri defunti.
Un uomo con cui la nostra specie ha condiviso molto più di quanto si pensasse, e che in diversi modi ha influenzato l'evoluzione stessa di Homo sapiens.


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Crediti immagini:
[1]©Wikimedia Commons; [2]©Wikimedia Commons; [3]©Smithsonian Human Origins; [4]©Encyclopaedia Britannica; [5]Pinterest; [6]©Mauro Cotrona; [7]©Nature

Bibliografia e approfondimenti:
- Callaway, E. (2014): Modern human genomes reveal our inner Neanderthal, Nature News&Comments.
- Callaway, E. (2016): Evidence for interbreeding bonanza in ancient human species, Nature News&Comments.
- Hoffman, D. L. et al. (2018): Symbolic use of marine shells and mineral pigments by Iberian Neanderthals 115,000 years ago, Science Advances.
- Grotta di Fumane (sito che comprende anche la bibliografia completa sugli studi archeologici)
- Morin, E.; Laourandie, V. (2012): Presumed Symbolic Use of Diurnal Raptors by Neanderthals, PLos ONE.
- National Geographic Italia sulla diffusione degli ornamenti tra i Neanderthal (2012).
- National Geograpich Italia sull'uso di vegetali come medicamenti (2017).
- Rendu, W. et al (2014): Evidence supporting an intentional Neanderthal burial at La Chapelle-aux-Saints, PNAS.
- Shipley, G. P.; Kindscher, K. (2016): Evidence for the Paleoethnobotany of the Neanderthal: A Review of the Literature, Scientifica.
- Simonti, C. L. et al. (2016): The phenotypic legacy of admixture between modern humans and Neanderthals, Science.
- Smithsonian Human Origins Program: Homo neanderthalensis
- Stringer, C. B. et al (2008): Neanderthal exploitation of marine mammals in Gibraltar, PNAS.
- Weirich, L. S. et al (2017): Neanderthal behavior, diet and disease inferred from ancient DNA in dental calculus, Nature.

Commenti

  1. Gentile sig.na Modenini, nel suo esposto rilevo un' inesattezze che andrò a specificare:
    - Nel 2010, un team di ricercatori di un noto istituto antropologico europeo, partendo da frammenti ossei di Neanderthal ritrovati in Spagna, Croazia e Russia, risalenti a circa 40.000 anni fa, è riuscito a mappare il genoma Neanderthal e lo ha confrontato con cinque gruppi di popolazioni attuali di Francia, Cina, Melanesia, Africa del Sud e Africa dell’Est, il risultato è il seguente:
    Tutte le popolazioni attuali condividono il genoma con i Neanderthal al 99,5%.
    Fatta pari a 100 quella parte rimanente (0,5% del totale) di genoma, da questo punto definito Genoma Specifico Neanderthal, non condiviso, è risultato che non ve n’è ombra nei due gruppi di Sapiens africani, ma ve n’è una percentuale che va dal 2 al 5% in ogni individuo degli altri tre gruppi Caucasici, non sempre gli stessi geni, ma gruppi di geni diversi, per un totale complessivo pari al 30% di quella parte (0,5%) che abbiamo definito Genoma Specifico Neanderthal.
    Quindi non 1 o 2% che è una percentuale spropositata, in quanto è dimostrato che tutti noi, esseri umani, condividiamo il nostro genoma con Scimpanzè e Bonobo, i primati più simili a noi geneticamente parlando, al 98%, segno che abbiamo con loro un progenitore comune ancora più antico dell’Homo Rudolfensis, oggi considerato il più probabile stipo dei 2 generi Neanderthal/Sapiens (si pensi a quanta differenza può fare l’ 1,5% di genoma).
    Cordiali saluti
    Paolo Druidi

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    1. Gentile signor Druidi,
      la ringrazio per il suo contributo, nel quale però, anch'io rilevo delle criticità. Innanzitutto, mi piacerebbe sapere a quale pubblicazione del 2010 si riferisce quando parla di "un team di ricercatori di un noto istituto antropologico europeo", che presumo sia il gruppo diretto da Svante Paabo al Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia. Le ricordo quindi che quando porta delle argomentazioni deve SEMPRE citare la fonte.

      In secondo luogo, non mi risulta che il 1-2% del materiale genetico presente nelle popolazioni AMH non africane sia spropositato. In merito, la invito a leggere i lavori di Reich et al (2010), Meyer et al (2012) e Prufer et al (2014), i quali concordano su diversi punti:
      1) <> (Reich et al, 2010) e successivamente: <> (Prufer et al, 2014);
      2) Riferendosi ai Denisova: <> (Reich et al, 2010);
      3) <> (Prufer et al, 2014).
      E via dicendo.

      Per quanto riguarda il 98% di DNA condiviso con scimpanzé e bonobo, tali stime sono riferite al DNA codificante, non al materiale genetico nel suo complesso: ovvero, alle sequenze dei geni, che sono solamente una piccola parte di tutto il genoma. Le stime sulle introgressioni di DNA neandertaliano e denisoviano considerano invece tutto il genoma, comprese sequenze ripetute, inserzioni di retrotrasposoni ecc.
      Per cui stiamo parlando in realtà di due cose diverse.

      Di seguito le lascio le pubblicazioni citate in precedenza:
      - Reich et al, 2010. Genetic history of an archaic hominin group from Denisova Cave in Siberia. Nature
      - Meyer et al, 2012. A High-Coverage Genome Sequence from an Archaic Denisovan Individual. Science
      - Prufer et al, 2014. The complete genome sequence of a Neandertal from the Altai Mountains. Nature

      Cordialmente,
      Giorgia Modenini. Writer and creator, "Il Cammino di Lucy"

      Elimina
  2. Non ho citato la fonte, il gruppo di Svante Paabo, in quanto è stato il primo, e mi risulta l'unico ad aver esposto gli esiti di questo tipo di ricerca e pensavo fosse pleonastico. Se è vera l'affermazione contenuta in questa ricerca secondo la quale tutti gli esseri viventi al mondo (al momento della ricerca) presentano una condivisione col genoma Neanderthal di 40.000 anni fa del 99,5 %, e non mi risulta che nessuno abbia smentito tale dato, è contraddittorio affermare poi che nei caucasici si possano trovare geni Neanderthal in percentuali che vadano dall'1 al 2 %, ciò porterebbero la percentuale totale al 101 %. La ricerca specifica poi (da quanto ho letto, ma non sono uno studioso, sono semplicemente un cittadino curioso e attento), che nello 0,5 % di DNA non condiviso, e solo nei Caucasici, si rilevano geni Neanderthal in percentuali che vanno dal 2 al 5% in tutti gli individui dei tre gruppi Caucasici, non sempre gli stessi geni, ma gruppi di geni diversi, per un totale complessivo pari al 30% (ovviamente di quella piccolissima porzione dello 0,5 % non condivisa), così le dichiarazioni hanno un senso, anche aritmeticamente parlando.
    Sinceramente
    Paolo Druidi

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    Risposte
    1. Continuo a non capire la sua obbiezione e continuo a non vedere l'articolo di Paabo di cui parla.
      Inoltre, mi perdoni, ma se lei stesso dice che è solo un cittadino curioso e attento, senza una formazione specifica (immagino), non mi spiego come possa portare quale argomentazione contraria proprio una ricerca di genetica molecolare di alto livello e complessa quale quella prodotta dal gruppo di Paabo. E tuttavia non comprendere quanto esposto nelle pubblicazioni successive. La questione aritmetica, poi, è legata al contenuto in materiale genetico di cui si sta parlando, come le ho esposto. Per cui non c'è assolutamente alcuna contraddizione o calcolo sbagliato.

      Giorgia

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